Memorie



 

 

Cinquantenario del colpo di stato in Cile 11 settembre 1973

Bernardino Osio

Riunione di studio all’Istituto Luigi Sturzo di Roma il 5 dicembre 2023
Testimonianza di Bernardino Osio

Ringrazio l'Istituto Luigi Sturzo ed in particolare il dottor Luigi Giorgi per avermi chiesto questa testimonianza relativa ad un mio breve viaggio in Cile nel 1977. Premetto che non sono uno specialista della storia politica del Cile, del quale mi sono saltuariamente occupato quando mi trovavo, dal 1975 al 1978, all'Ambasciata d'Italia a Buenos Aires con le funzioni di Primo Consigliere.

Dal 23 al 25 aprile 1977 fui inviato in missione a Santiago del Cile per portare alla nostra Ambasciata i nuovi cifrari, appena giunti da Roma: operazione questa solitamente affidata ai giovani funzionari d’Ambasciata. Ed io, allora, ero giovane consigliere all’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires.

Venni ricevuto all’aeroporto di Santiago dal Primo Segretario Anacleto Felicani, nella casa del quale venni anche cortesemente ospitato. Mi recai subito, ovviamente, a salutare il nostro Incaricato d’Affari, il coraggioso e saggio Ambasciatore Tomaso de Vergottini il quale, pur privo di status diplomatico (non avendo l’Italia ancora riconosciuto il governo golpista del generale Pinochet) lavorò per ben sei anni fra mille difficoltà, riuscendo, fra l’altro, a far partire per l’Italia centinaia di oppositori al regime militare. A questo proposito, consentitemi un ricordo: la personalità di Tommaso de Vergottini, così equilibrata e serena nello svolgere il suo difficile ruolo, merita da parte nostra ammirazione e riverenza.

Forse pochi dei presenti sanno che il padre di Tommaso era il Podestà di Parenzo in Istria e che nel novembre 1943 egli venne sequestrato dai partigiani “titini” e ”infoibato”, cioè era un "desaparecido". E toccherà poi a lui salvare, in Cile, centinaia di perseguitati politici appartenenti, ideologicamente, alle stesse bande di partigiani "titini". La Storia spesso ritorna, si ripete, diceva il nostro G.B. Vico, in maniere analoghe ma mai uguali, sempre diverse. A noi tocca oggi ammirare il coraggio, la generosità e la nobiltà d’animo di Tommaso de Vergottini.

Consegnati i preziosi cifrari, ebbi il tempo di fare un giro, accompagnato dal collega Felicani, per vari quartieri di Santiago, fra i quali ricordo quello di Las Condes e quello ove si trovava la famigerata Dina, Centro di Polizia ove si imprigionavano e torturavano gli oppositori al regime. Potei pure visitare l’antica, già splendida, residenza dell’Ambasciatore, ormai vuota (de Vergottini era riuscito a far partire per l’Italia gli oltre seicento rifugiati), ma ridotta ad una pittoresca rovina. Per de Vergottini era impossibile abitarla e fu costretto così ad affittare, come sua residenza, un piccolo modesto appartamento.

L’atmosfera della città era cupa, triste: pochi passanti, scarso traffico, molti mendicanti che frugavano nei bidoni della spazzatura alla ricerca di cibo. Il cosiddetto “miracolo economico”, frutto dei Chicago Boys, non era ancora arrivato.

Nelle lunghe conversazioni che ebbi con l’Ambasciatore de Vergottini, confrontammo le diverse situazioni del Cile e quelle dell’Argentina, situazioni in realtà germinate da circostanze molto simili (abbattimento dei regimi democratici, legittimamente eletti dal voto popolare) e con conseguenze quasi identiche (regime del terrore, repressione sfrenata, continue violazioni dei diritti dell’uomo).

Ma vi erano anche delle sostanziali differenze: in primo luogo, il discorso cadde sulle diverse reazioni della Chiesa cilena e di quella argentina, dinanzi a tanta violenza. Passiva e quasi inerte, la Chiesa argentina, e, invece, forte difesa dei diritti umani e dei perseguitati da parte della Chiesa cilena. Mi colpì, durante questa conversazione, la notizia, che non era peraltro ancora nota in Argentina, che la Chiesa cilena sotto la guida del Cardinale Primate Raul Silva Henriquez aveva preso posizioni forti e coraggiose nella difesa dei diritti umani. Infatti, con la creazione della Vicaria de Solidaridad, la Chiesa cilena aveva dato vita nel gennaio 1977 ad un organismo dai fini umanitari (rivelatosi poi anche come organismo di autentica opposizione al regime di Pinochet), con il quale aiutare, consigliare, orientare i familiari dei perseguitati. Segretario Generale di questa Vicaria venne nominato, dal Cardinale Primate, Monsignor Sergio Valech Aldunate che de Vergottini mi fece poi conoscere personalmente, invitandolo la sera successiva a pranzo in ambasciata.

Tornato a Buenos Aires non tralasciai occasione per citare, come esempio, l’atteggiamento della Chiesa cilena e per suggerire che, anche in Argentina, si creasse un’organizzazione analoga alla Vicaria de Solidaridad, per assistere le famiglie dei perseguitati che, a frotte, correvano dal Vicariato Castrense alla Curia, dai Canonici alla Nunziatura: da tutti promesse e assicurazioni di ottenere notizie, ma mai notizie concrete: anzi, dal giugno 1977 anche il Vicariato Castrense decise di non ricevere più questi parenti.

Nel mio libro “Tre anni a Buenos Aires 1975-78” ho ricordato questo mio tentativo di convincere la curia argentina ad imitare la chiesa cilena. Non vi è dubbio che la Chiesa cilena si coprì di meriti e rimase d’esempio in una America Latina dilaniata fra progressisti e conservatori, fra cattolici tradizionalisti e cattolici post-conciliari.

Ma ciò che più allora mi amareggiava, e ancora oggi mi amareggia, era constatare il diverso atteggiamento assunto dal Governo italiano nei riguardi del popolo oppresso del Cile, popolo che trovò a Roma, a differenza dell’Argentina, piena, pubblica collaborazione, comprensione e aiuto, che oggi giustamente qui a Roma si ricorda e si loda con tanto risalto e riconoscenza.

Non vorrei fare il “grillo parlante” raccontando amare verità, ma ben 40 anni di vita diplomatica mi hanno più volte mostrato quanta ipocrisia e quanti conflitti d’interesse si celino, spesso, dietro movimenti e azioni politiche che paiono nobili ed esemplari e si celebrano come tali.

Lasciatemi ricordare e confrontare alcuni dati importanti: furono necessari dodici anni prima che Roma riconoscesse il Governo del generale Pinochet. Dodici giorni furono necessari a Roma per riconoscere il governo del generale Videla: non solo, Roma avvertì che non avrebbe tollerato rifugiati nella sua Ambasciata a Buenos Aires. I rifugiati in Ambasciata a Santiago del Cile furono più di seicento; a Buenos Aires furono cinque! Il Capo Missione italiano in Argentina era malato e precocemente invecchiato: stentava a capire la gravità della situazione.

Durante i dieci anni trascorsi dal golpe argentino del 1976, sino al ristabilimento della democrazia in Argentina avvenuto nel 1983, nessun uomo politico italiano visitò Buenos Aires. Tutti erano diretti in Cile: non sempre sostavano all’aeroporto di Ezeiza; spesso preferivano voli diretti, senza scali intermedi. In Cile era un pellegrinaggio continuo di politici italiani: sia di sinistra estrema che di centro-sinistra, sia laici che cattolici, tutti visitavano Santiago: per un politico italiano l’aver pellegrinato in Cile era, quasi, “condicio sine qua non” per avere un “curriculum” politico adeguato. E si potrebbe continuare a lungo.

Gli è che del peronismo in Italia non importava granché: sia alla Democrazia Cristiana, tanto meno alle nostre Sinistre: il peronismo veniva considerato una forma di neo-fascismo sociale, una reviviscenza della Repubblica di Salò.

Gli interessi economici italiani in Argentina erano forti e importanti, in Cile quasi inesistenti. La Democrazia Cristiana in Argentina era quasi inesistente. Le rispettive colonie di italiani, nella loro stragrande maggioranza, erano filo militari. E la P2, che non era un comitato d’affari come ancora credono alcuni, ma era come un cancro che controllava l’Argentina peronista, e quella post-peronista e anche quella militare golpista. E la P2 non aveva ancora gettato i suoi tentacoli sul Cile.

Peraltro, eravamo in piena “guerra fredda”, gli Stati Uniti temevano un’America Latina comunista, sul genere di quanto era accaduto a Cuba e stava accadendo in Nicaragua. Il cosiddetto “Piano segreto Condor” funzionava egregiamente. L’Unione Sovietica, da parte sua, si trovava in forte crisi agricola a causa di pessimi raccolti e abbisognava del grano argentino, l’unico rimasto sul mercato, essendogli stato proibito dal governo Reagan il grano americano. La Russia poneva di conseguenza il suo veto, come accadrà nel 1978, e tutte le richieste, proposte da vari Stati nelle sedi ONU, di far luce sulle violazioni dei diritti umani in Argentina, venivano bloccate. Donde il flebile interesse per l’Argentina anche da parte del nostro Partito Comunista.

La politica e l’economia quindi facevano premio sulle esigenze morali, mostrando una volta di più come le ragioni economiche possono inquinare anche i migliori sentimenti di un popolo, rappresentato spesso da una classe politica discutibile.

Mi auguro che un giorno si faccia luce su questo poco conosciuto e deprecabile atteggiamento: forse una piccola parte del fiume di lacrime versato per il Cile avrebbe potuto, se versato anche su Buenos Aires, risparmiare all’Argentina un poco di sangue ed orrori.

Termino qui: mi sembra di essere stato in queste celebrazioni come il grillo parlante di Pinocchio!