Memorie
Carrellata di ricordi di un diplomatico
Sono entrato in carriera nel lontano 1963.
Avevo trascorso l'adolescenza, con la famiglia, in quel paradiso ch'era il Libano tra il 50' e il 60'.
Mio Padre, Martino Mario Moreno, vincitore del primo concorso bandito nel 1912 dalla Amministrazione coloniale italiana, aveva raggiunto il vertice di Direttore Generale degli Affari Politici del Ministero dell'Africa italiana, soppresso nel 1952. Docente universitario, Orientalista affermato, egli fu destinato lo stesso anno a Beirut come Consigliere Culturale presso l'Ambasciata e Direttore dell'Istituto italiano della cultura. Trasferito nei ruoli del Ministero degli Affari Esteri, concluse nel 1957 la sua carriera in qualità di Ministro d'Italia in Sudan, che aveva appena raggiunto l'indipendenza.
Dopo aver conseguito la licenza liceale a Beirut, presso la Scuola dei Salesiani, e quindi la laurea in legge presso l'Università di Roma, vinsi - a ventitré anni - il concorso diplomatico. Una scelta consapevolmente o inconsapevolmente suggeritami da quello ch'era stato l'ultimo tratto del percorso professionale di mio Padre.
Scoprii immediatamente che la diplomazia e' allo stesso tempo un'arte, una scienza, una professione di fede negli interessi dello Stato, che il diplomatico è chiamato all'estero a servire e tutelare. Attraverso i secoli - ed in una fase in cui la celerità degli spostamenti, la riqualificazione dell'informazione e delle comunicazioni hanno reso più agevoli i contatti diretti tra i Governi - l'attività, la creatività, il modo di operare del diplomatico sono certamente cambiati. Ma la sua funzione non è venuta meno. Il diplomatico continua ad essere al tempo stesso, in una posizione di spicco nella società globale delle relazioni internazionali, come spettatore e protagonista, osservatore ed attore, privilegiato di eventi che lasciano in qualche modo un segno nella Storia. E' certo importante la sua preparazione professionale. Ma ancora più importanti sono nella persona la sensibilità, il fiuto, la produttività, la capacità di interpretare situazioni e di affermare dovunque gli interessi del Paese.
La mia prima sede fu - come Vice Console - il Consolato Generale di Basilea. Erano gli anni dell'emigrazione in massa in Svizzera. Migranti provenienti dal Sud, dal Veneto e dal Friuli : 120.000 nella circoscrizione consolare.
Ebbi la fortuna di trovare un Console Generale straordinario, capace di motivare i collaboratori ed i numerosi dipendenti, assunti in loco tra gli operai delle fabbriche. Si tratta di Luigi Martelli, coautore del DPR 200/1967, la Legge consolare tuttora vigente. Egli trasformò l'Ufficio consolare in un vero e proprio modello, che fu per me un'esperienza stimolante e arricchente, chiamandomi a svolgere al tempo stesso le funzioni di Notaio, Capo dell'Ufficio Lavoro e Affari Sociali, Provveditore agli Studi, Consulente in materia di assistenza sanitaria ecc.
Il sabato e la domenica lo passavamo - sotto il titolo " il tempo libero degli Italiani “- con i nostri lavoratori, organizzati in cento associazioni (Colonie Libere, Sodalizi regionali, Missioni Cattoliche). Percorrevamo centinai di chilometri per partecipare alle loro manifestazioni: spettacoli teatrali, mostre d'arte, concerti, pranzi sociali, dibattiti organizzati dal Consolato Generale. Ma che esperienza ! Che intensità di emozioni umane! Quanti ricordi di questi straordinari connazionali, che facevano onore all'Italia con il loro duro, intelligente, lavoro, a sprezzo dei numerosi sacrifici !
Portammo allora i corsi di italiano nelle Scuole svizzere. Concludemmo accordi di sicurezza e convenzioni per l'ammissione delle famiglie dei frontalieri. Organizzammo corsi di formazione professionale per i nostri emigrati.
Mi occupai dei casi più strani, a partire dall'intercessione in tribunale a favore di un Siciliano, di cui riuscivo a stento a capire il dialetto, accusato di aver mangiato (per fame...) un cigno catturato su di un lago. In piena notte fui chiamato ad assistere alle operazioni di salvataggio (purtroppo incompiute) di due operai travolti dal crollo di una galleria in montagna. Quanti aneddoti da raccontare !
Imparai al Consolato Generale a Basilea a gestire un'organizzazione complessa, con criteri di efficienza manageriale: avevo ormai acquisito l'abc del mio mestiere.
Il mio secondo posto fu in Marocco: Primo Segretario presso l'Ambasciata a Rabat.
Il Marocco degli anni settanta era un Paese affascinante e misterioso, non ancora lambito dalle orde del turismo di massa.
Qui ebbi la fortuna ed il privilegio di avere un Capo Missione d'eccellenza,nella persona dell'Ambasciatore Amedeo Guillet : già Ufficiale di Cavalleria, con una storia di gesta eroiche durante la guerra in Africa orientale, che gli hanno valso la Gran Croce dell'Ordine Militare d'Italia e cinque medaglie d'argento al valore militare. La sua vita e le sue avventure sono state raccontate da Indro Montanelli, ed in due successivi libri che meritano la lettura ( "La guerra privata del Tenente Guillet" di Dan Segre e "Amedeo, un eroe italiano in Africa orientale" di Sebastian 0'Kelly), nonchè in una serie di documentari diffusi dalla RAI-TV. Questo splendido diplomatico ci ha lasciato cinque anni or sono a 102 anni !
Amedeo Guillet, che ho rivisto fino all'ultimo, e' stato per me un Padre ed un Maestro. Osservatore attento, comunicatore eccezionale, a molti ricordava un condottiero d'antan, dotato dell’innato sense of humour.
Egli si era immediatamente acquisito la fiducia de Re del Marocco Hassan, che aveva una particolare simpatia per l'Italia. Il Sovrano vestiva da sarti italiani, si curava da medici italiani, fece nascere almeno uno di figli in Italia.
Su iniziativa del mio Ambasciatore, ebbi un giorno il compito di organizzare una visita del Principe ereditario Mohamed (attuale Re, Mohamed VI) a bordo di una nostra Nave militare, in sosta nel porto di Casablanca. Il Principe aveva poco più di dieci anni. Dato che egli aveva visitato qualche tempo prima una Nave della Marina francese , pensai, con l'Addetto Militare, il Gen. Carlo Frateschi, di fargli fare molto di più a bordo della nostra Unità. Gli organizzammo un'uscita in mare a bordo della nostra “San Giorgio”, con un vero e proprio "battesimo del fuoco", con i cannoni che sparavano "a salve". Il Principe trascorse tutto il pomeriggio sulla nave, mostrandosi interessato ,oltre che alla navigazione, soprattutto ai pasticcini della merenda ( consumati in compagnia di mio figlio, Martino Vittorio, suo coetaneo ) dopo ch’erano stati verificati, per “motivi di sicurezza”, da un"assaggiatore di Corte". Quello che sembro' maggiormente impressionarlo sulla via del ritorno fu un grande megafono, che Mohamed riuscì a sottrarre ad un nostro Ufficiale. Tutti i tentativi di farselo restituire furono capricciosamente respinti . La Nave della nostra Marina Militare arrivò in banchina, con il piccolo Principe che arringava dall'alto della prua attraverso il megafono la folla che lo attendeva stupita a terra. Ricordo, con un filmetto girato nell'occasione, il notevole imbarazzo suscitato nei dignitari al seguito e nel nostro stesso equipaggio.
Mohamed VI è oggi un Sovrano, moderno, colto, dotato di un eminente senso politico. E' un amico sincero dell'Italia, con la quale il Marocco ( il Paese dove sono tornato spesse volte) ha sviluppato con noi rapporti intensi e fruttuosi .
Di questo periodo rammento un'altra vicenda, molto meno allegra. L'attentato organizzato nel 1971 contro il Re Hassan II, che festeggiava il suo compleanno nella sua fastosa residenza di Skhirat sul mare. Fui invitato con tutte le Autorità, ma ero per fortuna in vacanza. Nel tragico evento morirono oltre cento persone, tra cui l'Ambasciatore del Belgio. L'Ambasciatore Guillet si salvò per miracolo, aiutando da parte sua tante altre persone a mettersi in salvo.
Durante lo stesso periodo, ebbi l'onore di conoscere il Ministro Aldo Moro, in visita ufficiale. Con la sua discrezione, lo accompagnai tutte le mattine alla Santa Messa, con la mia piccola macchina privata, per non dare nell’occhio in un Paese musulmano, prima dei suoi incontri ufficiali.
Voltiamo pagina e andiamo a Bordeaux. Dal 1972 al 1974 vi ho esercitato le funzioni di Console, in una regione della Francia assai vasta, dove gli Italiani non erano numerosi e tutto sommato ben integrati. Ho potuto apprezzare i buoni vini, dedicandomi alla promozione delle relazioni culturali e commerciali.
Il Sindaco di Bordeaux era il Primo Ministro Jacques Chaban Delmas, che trascorreva nella sua Città due o tre giorni la settimana. Un grosso personaggio ch'ero fiero di poter frequentare a Bordeaux, più spesso di quanto non lo vedessero gli stessi Ambasciatori residenti Parigi.
Dopo una breve parentesi ( richiamato in servizio al Personale presso la Farnesina ), fui nominato nel 1976 a Ginevra Vice Capo della Rappresentanza permanente presso l'Ufficio delle Nazioni Unite per le attività ed i problemi relativi al Disarmo, diretta dall'Ambasciatore Niccolò Di Bernardo. Presi parte a negoziati politicamente e tecnicamente complessi sulle armi chimiche,le armi biologiche, le c.d.armi di distruzione di massa e gli esperimenti nucleari. Partecipai attivamente alla Conferenza per la riaffermazione e lo sviluppo del diritto umanitario, scaturita nella firma dei Protocolli aggiuntivi alla Convenzione di Ginevra.
Dalla stessa Ginevra, alla fine sempre del 1976 fui distaccato per qualche mese a Beirut, a reggere, come Incaricato d'Affari a.i., quell'Ambasciata. Assistetti, in un momento particolarmente difficile, alla guerra in corso, vedendo entrare in Libano le forze armate siriane. Mi recai poi gli anni seguenti a New York per l'Assemblea Generale dell'ONU.
Un lavoro nuovo, stimolante, che mi ha portato a contatto con una serie di personalità e colleghi di altri Paesi, compresi quelli dell' Est ,in una fase delicata di sgretolamento del Comunismo.
Da Ginevra tornai in Francia nel 1980 come Console Generale a Lione. Un incarico senz'altro gratificante e incoraggiante, con i ritmi dettati dalle circostanze.
Vorrei ricordare un episodio. Con un certo imbarazzo fui incaricato in extremis – raggiunto da una telefonata di Amintore Fanfani, allora Presidente del Consiglio - a rappresentare ufficialmente il Governo, ai solenni funerali dell’ex Re Umberto II, sepolto a Hautecombe… nella mia qualita’ di “massima Autorita’ della circoscrizione consolare”. Vi partecipai umilmente, destando un certo scalpore. Fui fischiato a lungo da un gruppo di monarchici presenti alla cerimonia, sia all’arrivo che alla partenza.
Dopo un breve capitolo, segnato con il mio distacco a Stoccolma come Vice Capo della Delegazione alla CSCE-CDE, fui richiamato al Ministero nel 1984 dall'Ambasciatore Bruno Bottai, Direttore Generale degli Affari Politici, cui ho rinnovato più volte i miei sentimenti di gratitudine. Ricordo quest'esperienza indimenticabile come Capo dell'Ufficio RSP e in aggiunta - a seguito della mia nomina da parte del successore l'Ambasciatore Boris Biancheri - come Capo dell'Ufficio Africa subsahariana. Grazie a questo arricchimento , il mio nuovo Direttore Generale, una grande figura di diplomatico,mi apri la via dell'Africa....
Ebbi per tre anni a percorrere in lungo ed in largo il continente africano, in un momento in cui l'Italia dedicava crescenti risorse e attenzioni ai Paesi emergenti, attraverso programmi importanti e lungimiranti di cooperazione e di aiuto allo sviluppo. Seguii da vicino i conflitti in corso in Angola e in Mozambico. Fui coinvolto negli sforzi diretti a favorire la ripresa dei contatti tra due Paesi legati all’Italia, l'Etiopia di Menghistu e la Somalia di Siad Barre, incontrando ripetutamente i due dittatori, nonché l'attuale Presidente eritreo Isaias Afeworke.
Scampai per un miracolo ad un attentato che fece 17 morti (per la piu’ parte francesi) in un bar di Gibuti, la citta’ piu’ calda dell’Africa e sede della Legione straniera, dove prendevo un te'. Sempre a Gibuti, di passaggio per una Conferenza internazionale dell'IGADD, mi capito' in un'altra occasione di dover accogliere sulla banchina del porto, in qualità di Rappresentante ufficiale dell'Italia nominato sul campo, un gruppo di Italiani fuggiti da Aden, dov'era scoppiata una rivoluzione : i connazionali messi in salvo dal Britannia, il famoso panfilo della Regina Elisabetta.
A Bobo Dialasso, nel Burkina Faso, m'intrattenni con il Presidente Sankara, in occasione del terzo anniversario della presa del potere, qualche giorno prima della sua uccisione.
Pensavo di essere destinato come Ambasciatore in Mozambico, in piena guerra. Ma l'allora Ministro Giulio Andreotti cambio’ idea all'ultimo momento, preannunciandomi con una telefonata la mia nomina come Ambasciatore in Senegal (accreditato anche a Capo Verde, in Gambia, Mali e Mauritania).
Sono a Dakar nel 1988, il mio primo incarico come Ambasciatore, in una città incantevole, con un bel mare, una classe politica raffinata, formata da Leopold Senghor, il grande "Poeta della negritudine", autorevole Membro dell'Accademia di Francia, che fu il primo, brillante, Presidente del Senegal. Viveva a Parigi. Ma ebbi presto l'onore di averlo una sera a cena in Ambasciata, in occasione della presentazione di un volume sulla sua opera poetica, tradotto in italiano, con la prefazione dello stesso Giulio Andreotti.
Fu un'esperienza intensissima e molto stimolante.
A conferma del ruolo positivo svolto dall'Italia in quest'area, mi trovai ad inaugurare, con il Presidente Abdou Diouf (divenuto poi Segretario Generale dell'Organizzazione Internazionale della Francofonia), una serie di ponti, strade, pozzi, programmi per la pesca, ospedali realizzati con i fondi del Fai e della Cooperazione allo sviluppo. In queste occasioni era consuetudine intrattenersi in ciascun villaggio con i vecchi radunati sotto un grande albero, il baobab. Gente dignitosa, fiera e curiosa, che mostrava di apprezzare il nostro consistente aiuto.
La grande immigrazione dei Senegalesi in Italia - i c.d. "vu cumpra'" di più tardi - non era cominciata, ma se ne avvertirono le avvisaglie. Si giunse rapidamente ad introdurre il visto, creando all’Ambasciata non poche difficoltà.
Sul piano culturale, mi impegnai nella diffusione della lingua italiana, organizzando una serie di conferenze, concerti e mostre d’arte, in omaggio ad un Paese democratico quale il Senegal.
Trovai un importante, convinto sostegno nelle tre donne nominate Consoli onorari a Capo Verde, in Mali e in Mauritania: Paesi che visitavo frequentemente.
A seguito di un rapido viaggio a Dakar e Nouakchott del Segretario Generale, Bruno Bottai, fui improvvisamente richiamato a Roma alla fine del 1992 per essere assegnato al Gabinetto del nuovo Ministro, Emilio Colombo, con funzioni vicarie del Capo di Gabinetto, Andrea Negrotto Cambiaso, di cui ebbi il grande privilegio di essere diretto collaboratore. In una rapida sequenza della galassia politica italiana cambiai successivamente una serie di incarichi, nell'ordine : Inviato speciale in Somalia ( sotto Beniamino Andreatta), Capo del Servizio Stampa e Informazione (con Antonio Martino) e Direttore dell'Istituto Diplomatico (con Susanna Agnelli).
Giunsi in Somalia a Mogadiscio a metà luglio del 1993 nei giorni piu’ caldi del conflitto in corso. Eravamo all'indomani della battaglia del Check Point Pasta, in cui il nostro Esercito, che partecipava all'operazione UNASOM, aveva perduto i suoi uomini durante un tragico scontro a fuoco. La situazione in Somalia era degenerata, con una campagna malevola e denigratoria avviata dagli Americani nei confronti del nostro Comandante del contingente militare, il Gen. Bruno Loi, e dello stesso mio predecessore, Enrico Augelli, divenuto immediatamente il capro espiatorio. La mia funzione era quella di “togliere le castagne dal fuoco “ e di ricostruire un diretto rapporto con l'Ammiraglio Howe, Capo del Contingente internazionale, nonché con l'Inviato del Dipartimento di Stato, David Shin. Come dissi alla stampa al mio arrivo : "La Somalia e' un problema da collocare nella prospettiva politica... Siamo venuti per ragioni umanitarie, per aiutare le fazioni somale a ritrovare la via del dialogo e della pace. Loi non si tocca e il nostro contingente resta dov'è ...".Non senza difficoltà riuscì a superare l'ostracismo ed il malumore degli Americani, riaffermando la presenza diplomatica dell'Italia in una delicata situazione geopolitica.
Lasciai la Somalia definitivamente il 20 marzo 1994, proprio nelle ultime ore di vita dei due giornalisti, Ilaria Alpi e Mila Hrovatin, tragicamente uccisi a Mogadiscio. Li avevo conosciuti molto bene. Li ricordo con viva emozione.
Cominciai una nuova avventura come Capo del Servizio Stampa di Antonio Martino, uno dei nostri migliori Ministri, autorevole rappresentante del liberismo. Viaggiai con lui, dai Balcani al Medio Oriente, alla Cina. Partecipai all'Assemblea Generale dell'ONU, nonché al famoso Vertice di Napoli, divenuto il G8 politico. Seguii da vicino i negoziati con la Slovenia e con la Croazia, per tutelare le nostre minoranze e collocarle in prospettiva della loro integrazione nel contesto europeo.
Trascorsi l'ultimo periodo al Ministero, in una serena atmosfera, dividendo il mio tempo come Direttore dell'Istituto Diplomatico nel verde del Casale di Villa Madama e al tempo stesso come Presidente del Circolo del Ministero degli Affari Esteri, egualmente nel verde, assai riposante. Ricorderò a lungo la nuova generazione dei colleghi della Farnesina incontrati all'Istituto.
Guardiamo avanti !... La mia destinazione fu Praga nell'aprile del 1996. Un'Ambasciata di grande interesse, con una Sede di ineguagliabile prestigio, il Palazzo Thun-Hoenstejn. Mi impegnai nel restauro di questo importante edificio, un vero capolavoro dell'architettura boema. Una Praga, che, dopo il periodo buio del comunismo e la rapida illusione della "Primavera", andava ritrovando, grazie alla "Rivoluzione di velluto", con la democrazia, lo splendore e la vitalità del passato .Tornava l'effervescenza economica, riprendeva lo spessore della vita culturale. Il turismo, le frotte di turisti italiani bussavano giornalmente al portone per visitare la splendida Ambasciata.
I rapporti con l'Italia conobbero una stagione particolarmente felice, anche grazie alle relazioni personali ed ai numerosi scambi di visite a livello politico, nella prospettiva dell'integrazione della Repubblica Ceca nella NATO e nell'UE.
Ebbi modo di conoscere da vicino il Presidente Vaclav Havel, una delle figure carismatiche, che ha maggiormente marcato le vicende del continente europeo, dalla caduta del comunismo. Incontrai spesso i Primi Ministri Vaclav Klaus, liberista, buon amico dell'Italia, e Milos Zeman, socialdemocratico, divenuti l'uno dopo l'altro Presidenti della Repubblica .
A Praga ho avuto grandi soddisfazioni, anche dal punto di vista dello sviluppo dei rapporti economici e culturali. Avevo creato in Ambasciata uno Sportello per gli imprenditori italiani interessati a penetrare in un mercato, non agevole, ma ricco di potenzialità. Creai una Delegazione dell'Accademia italiana della Cucina. Curai la pubblicazione di un volume sull'Ambasciata d'Italia a Praga.
Nel quadro della riorganizzazione della Farnesina, il dinamicissimo Segretario Generale,
Umberto Vattani, m’invito' presto a tornare a Roma per assumere, a decorrere dal 1 gennaio 2000, il nuovo incarico di Direttore Generale per i Paesi dell'Europa.
Un nuovo incarico, assai motivante, dato l'importante portafoglio.
L'Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI) doveva nascere ad Ancona il 19-29 maggio 2000,con la firma da parte dei Ministri degli Esteri di sei Paesi rivieraschi (Albania, Bosnia-Erzegovina,Croazia, Grecia, Italia, Slovenia) della famosa Dichiarazione "sulla cooperazione regionale quale strumento di promozione della stabilità economica e politica e del processo d'integrazione europea". Un grande successo dell'Italia. Collaborai all'organizzazione del G8 di Genova, contestato dai movimenti no global e dalle associazioni pacifiste. Diedi un personale impulso all'organizzazione del Vertice di INCE (21-24 novembre 2011), sotto la presidenza del Premier Silvio Berlusconi , partecipando ad una fitta serie di incontri bilaterali. In agenda: la lotta contro il terrorismo, il processo d'integrazione europea e i più recenti sviluppi nell'ambito della strategia di stabilizzazione dell'area balcanica.
Feci numerosi viaggi al seguito di Berlusconi, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri ad interim, dall'Albania alla Russia, assistendo a Palazzo Chigi ai suoi numerosi colloqui a livello politico.
Giro la pagina sugli aneddoti di questa fase, senz'altro per me importante.
Vorrei peraltro ricordare un episodio. Tornando in aereo da un ennesimo viaggio a Mosca, Berlusconi si apprestava a varare un movimento diplomatico. Mi chiese se avessi qualche preferenza per una sede. Gli risposi di esser pronto a servire dovunque nell'interesse dell'Amministrazione dello Stato...Poco dopo il Presidente del Consiglio mi offrì la NATO. Con qualche perplessità gli feci presente di non avere, come i miei predecessori, una grande competenza in materia di diplomazia multilaterale e sui problemi dell'Alleanza. Mi preciso' subito che, avendo approfondito il dossier Russia, avrei potuto pensare in futuro ad una sfida del tutto nuova; quella dello sviluppo dei rapporti tra la NATO e la Russia.
Soltanto qualche giorno dopo - eravamo nell'estate del 2002 - fui nominato dal Consiglio dei Ministri in qualità di Rappresentante Permanente presso il Consiglio Atlantico.
Trovai alla NATO un ambiente austero, non nuovo a momenti di difficoltà. L'Italia alla NATO aveva tuttavia acquistato una crescente visibilità e credibilità, grazie al generoso contributo del nostro Esercito, della Marina e dell'Aviazione alle operazioni di mantenimento della pace nel mondo. Ho avuto modo di vedere le nostre Forze Armate (10.000 uomini) all'opera in Albania, in Bosnia, in Kosovo ed in Afghanistan. Ho assistito ad esercizi militari, vivendo la straordinaria esperienza delle nostre Navi impegnate nel Mediterraneo nel quadro della missione dell’ "Active Endeavour", l'operazione NATO di pattugliamento contro il terrorismo. Ho volato per lunghe ore sui C-130 e sugli avveniristici aerei da trasporto della US Air Force. Sono stato cinque volte a Kabul e nella Provincia di Herat, dove la nostra Unità' Militare fece un ottimo di lavoro nel contesto della Provincial Recostruction Team (Prt), con il compito di costruire strade, scuole,ospedali, condotti fognari, centri per donne e disabili. Un impegno straordinario !
Ho vissuto momenti commoventi , a cominciare dalla solenne cerimonia dell'alzabandiera, che ha suggellato l'ingresso nell'Alleanza Atlantica di sette nuovi Stati, già membri del Blocco comunista.
Mi sono attivamente impegnato, con risultati non privi di significato, nello sviluppo dei rapporti tra la NATO e la Russia, in linea e nello spirito della Dichiarazione di Pratica di Mare, adottata il 29 maggio 2002, per dar vita al "Consiglio a Venti", invitando la Russia a lottare contro il comune nemico del terrorismo.
Rivisitando la lettura delle mie memorie, vorrei ricordare l'amalgama trovato alla NATO nella mia straordinaria squadra di colleghi, altamente qualificati, motivati e affiatati con l’ossatura dei Militari.
Voglio ricordare in particolare i colleghi ed amici destinati ad una brillante carriera : Luigi Mattiolo, Riccardo Guariglia, Francesca Tardioli, Fabrizio Colaceci, Andrea Orizio, Francesco Genuardi, Nicola Todaro Marescotti, cui sono tuttora legato da una profonda amicizia.
Ebbi il piacere di “lasciare la stecca” a Stefano Stefanini, il mio brillante successore nominato nell’aprile 2007 alla NATO. Era stato un punto di merito ? Aveva iniziato la carriera , entrando in diplomazia nel 1974, subito chiamato a lavorare con me al Personale.
Ho appreso da ultimo con piacere della recentissima nomina di Mariangela Zappia, a Capo della nostra Rappresentanza Permanente presso il Consiglio Atlantico. Una collega altrettanto brillante ed intelligente, che mosse ugualmente i primi passi accanto al sottoscritto, come Secondo Segretario all’Ambasciata di Dakar.
A ridosso del mio collocamento a riposo, previsto il 1 luglio 2007, fui chiamato, qualche mese prima, a svolgere ancora una volta delle nuove funzioni su un altro fronte quelle di Consigliere Diplomatico dell’autorevole Vice Presidente del Consiglio, Francesco Rutelli, A rendere indimenticabile questa nuova esperienza di lavoro ha sicuramente contribuito
alla mia fortuna , consentendomi di restare in servizio fino alla fine del Governo Prodi (8 maggio 2008).
Nel frattempo fui ugualmente fortunato di ritrovare la mia terra d’origine – Sanremo - dove fui eletto, nel settembre 2007, Presidente dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario,
con sede a Sanremo. Una risorsa straordinaria ed un’Organizzazione prestigiosa. Mi aveva preceduto come Presidente dell’Istituto stesso, quarant’anni prima, il compianto Ambasciatore Pier Pasquale Spinelli, unico tra gli Italiani eletti.
In tutte queste diverse circostanze in cinquant’anni del mio percorso di carriera ho avvertito il privilegio di servire il Paese, l’orgoglio e la fierezza di essere Italiano, le alte soddisfazioni che da ad un diplomatico. Una professione che mi sentirei di raccomandare vivamente alla nuova generazione dei giovani.
Roma 10 gennaio 2015
Maurizio Moreno