Memorie
Luigi Fontana Giusti: L'uomo e il diplomatico. Una testimonianza
di Adriano Benedetti
Sono molto grato alla Presidenza del Circolo di Studi Diplomatici per aver acconsentito a pubblicare il testo che segue in memoria dell’Ambasciatore Luigi Fontana Giusti, affezionato socio del Circolo, deceduto l’8 agosto scorso all’età di quasi 88 anni. Trattasi della testimonianza di un’amicizia che è durata cinquanta anni e soprattutto di una personalità che ha onorato il Ministero degli Affari Esteri.
Il nostro primo incontro si colloca agli esordi della mia carriera (1) quando, da giovane praticante nella prima incarnazione ministeriale presso l’allora Ufficio XIV del Disarmo degli Affari Politici, diretto all’epoca dal brillante Ministro plenipotenziario Rinaldo Petrignani, vidi arrivare dal Lussemburgo il nuovo numero due dell’ufficio, appunto il Consigliere di Legazione Fontana Giusti, reduce dalla prima tornata di servizio all’estero. Aveva già svolto funzioni ad Algeri, Bruxelles Ambasciata e Washington.
Ricordo il profilo di un funzionario estremamente affabile nel suo rigore professionale, desideroso di impratichirsi il più rapidamente possibile delle complicate tematiche che trattava l’ufficio. Gli fui di qualche aiuto, soprattutto per la buona conoscenza che avevo acquisito nei mesi precedenti dei meandri dell’archivio. Fraternizzammo rapidamente, avendo lo stesso sentire morale e le stesse propensioni in politica estera, benché egli fosse ben più aperto, rispetto al mio conservatorismo di fondo, in materia sociale e di equilibri politici interni.
Per oltre un anno non mi resi conto della sua pregressa amicizia con i genitori di colei che sarebbe diventata poi mia moglie, Marina Mazio, essendo lui stato collaboratore a Bruxelles del padre. Lo ricordo rispettoso delle idee altrui, ma ben fermo nei suoi convincimenti. Aveva dell’Italia una visione quasi risorgimentale, attingendo alla sensibilità dei grandi costruttori del Paese e non vedendola mia disgiunta da una dimensione di alta moralità. Si era nutrito degli ideali azionisti-repubblicani ed era fieramente anti-fascista. Aveva una devozione profonda nei confronti dell’Ambasciatore Sergio Fenoaltea, con cui aveva lavorato durante il suo soggiorno a Washington.
Era, in sintesi, un liberal-democratico a tutta prova. In politica estera era un convinto assertore dell’Alleanza Atlantica e del rapporto insostituibile con gli Stati Uniti. La costruzione europea costituiva già allora per lui un orizzonte imprescindibile e di radicale importanza per l’Italia. Aveva, infine, chiarissima la distinzione tra politica ed amministrazione e si è sempre considerato un fedele servitore dello Stato, alieno da qualsiasi commistione con la politica, in particolare per interessi personali di carriera.
La nostra convivenza all’ufficio XIV durò poco più di due anni. Venni assegnato alla nostra Ambasciata a Lima ma il contatto personale non si affievolì, talché, una volta lui destinato ad Ottawa, mi indusse a raggiungerlo nella capitale canadese. Furono due anni di piacevole vita lavorativa, in un’atmosfera di autentica amicizia, da Luigi animata con il suo equilibrio, amabile umorismo ed onestà intellettuale, che si avvalse anche della presenza di colleghi carissimi come Aldo Bettini, Anna Blefari Melazzi e Gianluigi Lajolo: sullo sfondo di una conduzione dell’Ambasciata retta con piglio effervescente da Giorgio Smoquina, brusco ed esigente Capo missione talvolta, ma sempre fedele nei confronti dei suoi funzionari.
Fu ad Ottawa che conoscemmo bene la consorte di Luigi, Alix, proveniente da un aristocratico casato francese, per il quale la nobiltà significava essenzialmente superiore milizia morale-religiosa e disinteressato servizio allo Stato e alla comunità. Si conobbero ad Algeri negli anni ’50, quando Alix vi operava come crocerossina. Il loro fu un vero matrimonio di amore e autentica comunione di principi e di valori da cui nacquero cinque splendidi figli e che si proiettò con la stessa intensità sui successivi cinquant’anni sino alla morte di Alix.
Un ricordo, fra tanti, mi è rimasto impresso dell’attività di allora dell’Ambasciata. Luigi, in quel momento incaricato d’affari a.i., ricevette un telegramma dal Ministero con il quale si chiedevano con urgenza accertamenti e riscontri in Canada in merito ad una vicenda economico-politica che in quei giorni occupava le prime pagine dei giornali in Italia. Non ho mai dimenticato l’impegno professionale, sorretto da una equanimità di impronta etica, con cui affrontò la richiesta, coinvolgendoci tutti nella redazione finale della risposta al Ministero che voleva fosse assolutamente veritiera, circostanziata ed onesta.
Nell’insieme Luigi ed Alix rappresentarono con grandissimo decoro il nostro Paese in Canada, con l’immagine di una coppia affiatata e di solerte presenza nel circuito diplomatico locale, di generosa ospitalità conviviale e di valorizzazione dei vincoli tra i due paesi.
Luigi, d’altronde, aveva molte delle qualità che sottendono il diplomatico di razza: il rispetto per l’interlocutore, l’empatia, la chiarezza delle proprie posizioni negoziali e degli interessi dell’Italia, il senso della propria dignità, la volontà di impadronirsi dei dettagli delle questioni più tecniche, la naturale signorilità. Egli ha certamente palesato in comportamenti impeccabili tali qualità nell’esercizio di tutte le funzioni affidategli in Italia e all’estero.
Poi Luigi venne assegnato a Vienna e a Londra come Ministro Consigliere e le nostre strade si divaricarono anche se il filo dell’amicizia non si interruppe. Rientrato da pochi mesi a Roma dopo il mio primo periodo di servizio all’estero, ricevetti una telefonata da Luigi, già all’Ambasciata a Londra, nella quale mi raccontò che l’appena eletto Presidente del Senato, Tommaso Morlino, che lo conosceva bene, gli aveva proposto di fare il suo capo segreteria. Luigi, per quanto lusingato, declinò la proposta perché non se la sentiva di obbligare la famiglia, appena installatasi nella capitale britannica, a spostarsi nuovamente a Roma. Mi chiese se poteva fare il mio nome, ancorché io fossi molto più giovane. Accettai perché ero incuriosito dalla dimensione istituzionale della nostra carriera. Il seguito fu che trascorsi sei mesi al Senato in qualità di assistente al Presidente per le questioni di politica internazionale e, per concatenazioni successive, ebbi modo di conoscere il Presidente Francesco Cossiga e passare due anni nell’ufficio del Consigliere diplomatico al Quirinale.
Più tardi Luigi accelerò la sua carriera alternando incarichi prestigiosi sia a Roma che all’estero: Vice-direttore generale agli Affari economici alla Farnesina, Capo della Rappresentanza permanente all’OCSE a Parigi, Direttore generale del Personale e dell’Amministrazione (2), Consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio Giovanni Goria, Ambasciatore ad Ankara, Capo dell’Ispettorato e Ambasciatore presso le organizzazioni delle Nazioni Unite in Roma.
Tale straordinario tragitto non lo percorse sacrificando certo le questioni di principio. Al momento dell’arrivo al potere di un politico che non si peritava di disistimare in pubblico, presentò le sue dimissioni formali dalla carriera che vennero però respinte dall’allora Ministro degli Affari Esteri, Antonio Martino. Concluse la sua carriera con qualche rammarico e preoccupazione per le sorti del Paese.
Luigi era un laico autentico nella dimensione professionale ed esterna. Ma era profondamente religioso nella sua sfera privata. Parte del maggiore tempo a disposizione offertogli dal congedo definitivo, lo utilizzò per approfondire temi che gli erano stati da sempre cari, in particolare il pensiero affascinante di Sant’Agostino e il Giansenismo. Non si limitò a questo, né a redigere pregevoli volumi su tali temi. Si coinvolse nell’esercizio pratico della carità cristiana, soprattutto a favore dei carcerati di cui si adoperò per molti anni ad elevare la spiritualità e la cultura: una religiosità, la sua, non elitista ed astratta ma calata nei drammi della vita, seguendo l’insegnamento evangelico.
Anche la scomparsa prematura della sua Alix nel 2007 lo indusse a scrivere e pubblicare numerosi brevi “ritratti” della sua vita coniugale: come se volesse perpetuare il fascino di un matrimonio indimenticabile o negare la tragica realtà della separazione.
Gli ultimissimi anni furono segnati anche dalla morte del figlio Ranieri, affermato architetto a Londra, che gli fece sentire ancora più pesante la vita e che accolse senza protestare contro il destino, facendosene una ragione nell’orizzonte della fede, sempre più rinchiuso in se stesso nell’attesa, spesso invocata, del passo finale.
Con l’Ambasciatore Luigi Fontana Giusti ci si trova di fronte ad una personalità complessa e dalle molte sfaccettature: uomo di intuitiva intelligenza, di profonda cultura, di grande umanità e generosità personali, tanto sollecito nel tratto umano quanto inflessibile nei principi, per cui anche i suoi amici più cari avevano talvolta difficoltà a condividerne pienamente talune prese di posizione. Comunque, un uomo a tutto tondo, di quelli che la società italiana faticherà sempre più ad esprimere e il Ministero degli Affari Esteri ad annoverare nella sua alta dirigenza.
Mi sono più volte chiesto che cosa tenesse assieme tanti aspetti non sempre convergenti, quale fosse la sorta di filo rosso che desse coerenza ad atteggiamenti così accentuati, eppure così diversi nella loro ispirazione. Sono giunto alla conclusione che forse il fattore unificante sia stata la ricerca, da parte di Luigi, dell’assoluto, della perfezione, della compiutezza. L’assoluto lo ricercò e lo trovò nella tensione verso Dio e nell’amore coniugale e familiare. Lo perseguì anche nell’amicizia, nella professione, nei rapporti con il prossimo, incorrendo di tanto in tanto in delusioni che lo ferivano nel profondo.
Alcuni di questi aspetti avrei voluto toccare con commozione nelle parole che mi ripromettevo di pronunciare quale ultimo saluto, durante le esequie. Un improvviso impedimento di salute non me lo ha consentito. Affido, pertanto, il ricordo a queste righe nella speranza che quanti vorranno leggerle riescano a ritrovare la fisionomia di un uomo e di un diplomatico, per tanti versi, così singolare nel panorama italiano: cui dovremmo riservare un duraturo pensiero e un nostalgico apprezzamento.
1) Nel testo si ripetono qua e là i richiami alla mia parabola professionale. Me ne scuso con il lettore. Sono dovuti non solo alla circostanza che le coincidenze di lavoro mi hanno offerto l’opportunità di meglio conoscere l’Ambasciatore Fontana Giusti, ma anche al fatto che è stato in qualche modo presente in alcuni snodi importanti del mio percorso al Ministero. Indipendentemente da tali momenti, egli non ha mai mancato di esprimersi, in ogni circostanza e con ogni interlocutore, in forma elogiativa nei miei confronti, agevolando così, con sommessa discrezione, le mie progressioni di carriera in misura che non potrò mai cogliere, ma che certamente non è stata trascurabile.
2) Al momento della sua nomina a Direttore Generale del Personale, l’Ambasciatore Fontana Giusti mi espresse il desiderio di avermi come suo collaboratore. Mi sottrassi all’impegnativo invito allegando la mia estraneità e disinteresse per le questioni trattate dalla Direzione Generale. Non me ne portò mai collera ma sono convinto che il mio diniego gli provocò qualche amarezza.